asperimenti

Icon

Let’s share!!! domenica 25 marzo

Collettivo Cinema Inesistente & A.sperimenti presentano

Archivio Cinematografico La Commune

+aperitivo benefit per la cassa di solidarietà NoTav

dalle 14.30 proiezioni, film-sharing, stuzzichini e chiacchiere

PORTATE HARD DISK E CHIAVETTE

per prendere e lasciare, scambiare e contaminare (no virus grazie!), sperimentare ed esperire

@Circolo dei Malfattori, via Torricelli 19, mm2 Romolo, tram 3-15, bus 90-91

Chi verrà, vedrà!


Nato da una pratica di condivisione nel settembre 2011, l’Archivio riunisce circa 800 film in formato digitale, catalogati e ordinati per regista.

 

il riconoscimento

La sua faccia inespressiva non lasciava trasparire alcun indizio sulla forma dei pensieri che potevano affollarvisi dentro.
Solo il suo sguardo tradiva l’attesa di una replica che tardava ad arrivare.
“Ebbene” pose fine all’attesa con un tono di falsa cortesia “Temo di non aver ben compreso il suo problema”.
Le parole mi si accavallavano leggermente mentre tentavo di riformularle “Ecco, vede, io non mi sento proprio come gli altri. Faccio sempre più fatica a conformarmi alle loro pretese, che loro giudicano d’altra parte come perfettamente naturali”.
Feci un altro tentativo per scrutarne, invano, le reazioni. Mi interruppe prima che potessi aggiungere altro “Capisco, so perfettamente come trattare il suo caso”.
Scomparve alla vista, lasciandomi solo con la mia titubanza.
Ma non feci in tempo a risolvermi in alcunchè che rispuntò da una porta. Si fece avanti, e mi porse un pezzo di carta con una sorta di solenne noncuranza.
“E’ un certificato di unicità. Autenticato. Sottoscriva qui, prego. Questo attesta la sua diversità”.
Con la sua molle stretta di mano mi urgeva fuori dall’ufficio.
In breve mi trovai in strada.
Stringere in mano quell’attestazione sembrava sopire un poco, per il momento, le mie ansie.
E potei finalmente tornare al lavoro con rinnovato vigore.

(asperimenti, 2012)

 

il pendolare

Per sfuggire alla noia, al signor K., di tanto in tanto, piaceva vivere pericolosamente.
A volte, mentre viaggiava sul trasporto pubblico, si fingeva sprovvisto di titolo di viaggio.
Di tanto in tanto, nei luoghi affollati, si immaginava braccato dalla polizia segreta, e allora roteava nervosamente gli occhi tutt’attorno, dietro ogni viso poteva celarsi un nemico, da un momento all’altro qualcuno lì vicino stava per affondare le mani nel lungo cappotto a raggiungere una rivoltella, ecco un movimento inconsulto, ecco un tizio estrarre dalla tasca, con mano ferma, un fazzoletto. Che brivido!

Per sfuggire alla noia, al signor K., di tanto in tanto, piaceva vivere pericolosamente.
Una volta, addirittura, per seminare i suoi pedinatori immaginari, attese di proposito l’ultimo momento per balzare sulla carrozza del metrò, mentre la sirena lo ammoniva del chiudersi delle porte.

Per sfuggire alla noia, al signor K., di tanto in tanto, piaceva vivere pericolosamente.
Di tanto in tanto, però, non bastava.
E allora, durante qualcuna di quelle tante attese su quelle tante banchine, si ritrovava a chiedersi cosa dovesse significare il farsi calpestare da quelle pesanti ruote.
Era possibile trovare un po’ di calore nell’abbraccio del freddo acciaio?
Ma queste fantasie si dissolvevano non appena la sirena annunciava al signor K. l’aprirsi, dinanzi a lui, di un mondo sempre uguale.

Per quanto tempo sarebbe bastato il potere dell’illusione, per sfuggire alla noia?

 (asperimenti, 2011)

 


			

the living theatre

Julian Beck, Judith Malina – The Living Theatre May 17, 1975

“Politicamente, intellettualmente, artisticamente, personalmente ed epistemologicamente siamo arrivati ad un punto di rottura.

Dire che la società è in crisi è un cliché.

In modo particolare in questo continente nordamericano, sembriamo in balia di una crisi totale e andiamo incontro o alla disintegrazione o alla brutale e sanzionata repressione.

Politicizzare gli studenti, teatro di strada e di guerriglia, misticismo, sciamanesimo.

Rendete ogni esperienza significativa”

 

Richard Schechner, 1984

le déserteur

 

http://www.youtube.com/watch?v=gjndTXyk3mw

 

Monsieur le Président
Je vous fais une lettre
Que vous lirez peut-être
Si vous avez le temps
Je viens de recevoir
Mes papiers militaires
Pour partir à la guerre
Avant mercredi soir
Monsieur le Président
Je ne veux pas la faire
Je ne suis pas sur terre
Pour tuer des pauvres gens
C’est pas pour vous fâcher
Il faut que je vous dise
Ma décision est prise
Je m’en vais déserter

(…)

musiche di Boris Vian

illustrazione di Alessandro Gottardo

WATER CALLIGRAPHY_autoproduzioni

Nicholas Hanna.

WATER CALLIGRAPHY.

Pechino, Cina.

“ma quale genere”

Cos’è il genere? Come si costruisce? Cos’è che ci fa sentire uomini o donne nella società a cui apparteniamo? Ma soprattutto…è così importante capirlo? La queer theory ha cercato, attraverso un’intensa e dissacrante opera di decostruzione, di arrivare alla radice problematica delle tradizionali rivendicazioni feministe e gay/lesbo. Decostruire il genere aiuta a puntare il fuoco non sul soggetto come identità forte ed omogenea, ma sulla relazione tra persone, una relazione che per essere libertaria dovrebbe essere un incontro tra persone in grado di gestire e regolare il proprio rapporto in modo autonomo e comune allo stesso tempo. La propria libertà è importante tanto quanto la libertà dell’altro in una continua rinegoziazione che può passare solo attraverso l’empatia e la ridiscussione. Analizzare il genere in sé non serve, non siamo monadi e non viviamo soli…studiare e praticare relazioni che ci rendano felici da soli e insieme è la vera sfida.

Consigli di lettura:

Franco La Cecla, Modi Bruschi, antropologia del maschio, Elèuthera, 2010
Judith Butler,La disfatta del genere, Meltemi, 2006.
Judith Butler, Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio, Sansoni, 2004.

Occupy Wall Street!

Il fatto che il movimento Occupy Wall Street non sembri avere obiettivi precisi e che non presenti una leadership chiara non è un caso. Anzi, è una scelta consapevole e ragionata. Mantenere la vaghezza e la struttura decentrata del movimento è proprio “uno dei modi per opporsi a queste forze antidemocratiche e molto potenti contro le quali si sta protestando”. In pratica, se si avanzassero richieste specifiche, significherebbe aver accettato di parlare e di mediare con le istituzioni che si contestano, legittimando degli interlocutori che sono invece ritenuti “il problema” in primo luogo. Questo il pensiero di David Graeber, antropologo americano della Goldsmith University di Londra, e tra i primi organizzatori della protesta in atto da tre settimane nel cuore finanziario statunitense. In un’intervista rilasciata al Washington Post, Graeber ha raccontato la nascita del movimento e cercato di spiegare il vero senso dell’occupazione.

“Tutto è cominciato il 2 luglio”, quando c’è stata la prima riunione, ha ricordato Graeber. Da allora, sono stati creati piccoli gruppi di lavoro, con l’aiuto di ragazzi che avevano organizzato manifestazioni simili in Spagna, Grecia e Tunisia. L’obiettivo è sempre stato quello di manenere la struttura organizzativa aperta, “creando spazi dove le persone possono incontrarsi e confrontarsi”.

Secondo le parole di uno dei suoi fondatori, il movimento sta cercando “di riformulare le cose in una maniera diversa”, mantenendosi lontano dalla retorica delle rivendicazioni e abbracciando il modello della democrazia diretta. “A questo punto”, ha spiegato Graeber, “l’occupazione di New York ha 30 differenti gruppi di lavoro, che gestiscono qualsiasi cosa, dalla pulizia alle discussioni sui diritti dei lavoratori e sulle tasse. Siamo cercando di organizzare le cose di modo che anche gente con interessi diversi possa unirsi al movimento”.

Date queste premesse, però, l’adesione di nuovi gruppi più strutturati, come sindacati e altre sigle di attivisti, portebbe non essere un risvolto completamente positivo per il movimento: “La vera difficoltà è lavorare con gruppi che hanno una struttura verticale e hanno una base di finanziamento, perché significa che ci sono cose che possono dire in pubblico e cose che non possono dire”. E’ necessario, quindi, “trovare un equilibrio tra la forma di democrazia diretta che si sta cercando di raggiungere e lo sforzo per unirsi a quei gruppi che hanno una struttura organizzativa di tipo gerarchico che noi abbiamo rifiutato”.

In effetti, come tutto questo si possa tradurre in un reale cambiamento nella società, rimane una sfida anche per Graeber, secondo cui “uno dei modi in cui questo è stato fatto da altre parti del mondo è attraverso assemblee locali che portano avanti iniziative locali”. Il professore americano, d’altro canto, sembra sicurissimo su una cosa: “l’unica risorsa che non scarseggia è rappresentata dalle persone intelligenti che hanno idee”.

benefit…benefit…benefit

Contro il lavoro!

Asperimenti non solo osa mettere in dubbio la rivoluzione ma anche il mito del lavoro e dei lavorotori: Contro il lavoro!,…. Mettere in discussione il lavoro significa mettere in discussione il senso della vita. Il lavoro, infatti, concorre in modo prioritario a definire l’identità del singolo e il suo posto nel mondo. Eppure, nonostante questa invadente presenza nella vita e nei rapporti sociali, è ben lontano dall’esprimere la nostra creatività, impedendoci oltretutto di sperimentare relazioni più ricche e articolate. Nella società contemporanea, questa attività umana fondamentale è ormai solo uno strumento funzionale ai meccanismi della società dei consumi e ai suoi desideri indotti, che ci ha ridotti a zombi che lavorano freneticamente per consumare ancora più freneticamente.

consigli di lettura

philippe godard, contro il lavoro, elèuthera, milano, 2011.
gruppo krisis, manifesto contro il lavoro, derive e approdi, roma, 2003.
Paul Lafargue, diritto all’ozio, 1887