asperimenti

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Pure fiction – pura finzione?

Parole danzanti in un campo minato

Nell’era del benessere, dove le armi seduttive del dominio hanno raggiunto un livello tale di sofisticazione da far scambiare il godimento delle merci per la libertà; nella società della paura, dove l’irraggiamento della realtà massmediatica si sostituisce sempre più al confronto umano; nell’intimo della propria dimensione quotidiana, dove la frantumazione sociale ci fa stringere sempre più all’interno di una ristrettissima cerchia di privati e dove si è sempre più soli nell’affrontare un dominio che si getta fin nel profondo del nostro essere; qui – un qui che è ovunque –, la rabbia dell’oppresso, la frustrazione del bisogno, il vuoto di senso prodotto dalla mercificazione dell’esistente, si coagulano sempre più sotto forma di disagio di vivere: un disagio del quotidiano difficilmente percepibile come direttamente legato ad un processo passibile di critica, ad una più universale sfera ‘politica’ di decisioni e idee.
Una deflagrazione annunciata…

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il riconoscimento

La sua faccia inespressiva non lasciava trasparire alcun indizio sulla forma dei pensieri che potevano affollarvisi dentro.
Solo il suo sguardo tradiva l’attesa di una replica che tardava ad arrivare.
“Ebbene” pose fine all’attesa con un tono di falsa cortesia “Temo di non aver ben compreso il suo problema”.
Le parole mi si accavallavano leggermente mentre tentavo di riformularle “Ecco, vede, io non mi sento proprio come gli altri. Faccio sempre più fatica a conformarmi alle loro pretese, che loro giudicano d’altra parte come perfettamente naturali”.
Feci un altro tentativo per scrutarne, invano, le reazioni. Mi interruppe prima che potessi aggiungere altro “Capisco, so perfettamente come trattare il suo caso”.
Scomparve alla vista, lasciandomi solo con la mia titubanza.
Ma non feci in tempo a risolvermi in alcunchè che rispuntò da una porta. Si fece avanti, e mi porse un pezzo di carta con una sorta di solenne noncuranza.
“E’ un certificato di unicità. Autenticato. Sottoscriva qui, prego. Questo attesta la sua diversità”.
Con la sua molle stretta di mano mi urgeva fuori dall’ufficio.
In breve mi trovai in strada.
Stringere in mano quell’attestazione sembrava sopire un poco, per il momento, le mie ansie.
E potei finalmente tornare al lavoro con rinnovato vigore.

(asperimenti, 2012)

 

il pendolare

Per sfuggire alla noia, al signor K., di tanto in tanto, piaceva vivere pericolosamente.
A volte, mentre viaggiava sul trasporto pubblico, si fingeva sprovvisto di titolo di viaggio.
Di tanto in tanto, nei luoghi affollati, si immaginava braccato dalla polizia segreta, e allora roteava nervosamente gli occhi tutt’attorno, dietro ogni viso poteva celarsi un nemico, da un momento all’altro qualcuno lì vicino stava per affondare le mani nel lungo cappotto a raggiungere una rivoltella, ecco un movimento inconsulto, ecco un tizio estrarre dalla tasca, con mano ferma, un fazzoletto. Che brivido!

Per sfuggire alla noia, al signor K., di tanto in tanto, piaceva vivere pericolosamente.
Una volta, addirittura, per seminare i suoi pedinatori immaginari, attese di proposito l’ultimo momento per balzare sulla carrozza del metrò, mentre la sirena lo ammoniva del chiudersi delle porte.

Per sfuggire alla noia, al signor K., di tanto in tanto, piaceva vivere pericolosamente.
Di tanto in tanto, però, non bastava.
E allora, durante qualcuna di quelle tante attese su quelle tante banchine, si ritrovava a chiedersi cosa dovesse significare il farsi calpestare da quelle pesanti ruote.
Era possibile trovare un po’ di calore nell’abbraccio del freddo acciaio?
Ma queste fantasie si dissolvevano non appena la sirena annunciava al signor K. l’aprirsi, dinanzi a lui, di un mondo sempre uguale.

Per quanto tempo sarebbe bastato il potere dell’illusione, per sfuggire alla noia?

 (asperimenti, 2011)