Il fatto che il movimento Occupy Wall Street non sembri avere obiettivi precisi e che non presenti una leadership chiara non è un caso. Anzi, è una scelta consapevole e ragionata. Mantenere la vaghezza e la struttura decentrata del movimento è proprio “uno dei modi per opporsi a queste forze antidemocratiche e molto potenti contro le quali si sta protestando”. In pratica, se si avanzassero richieste specifiche, significherebbe aver accettato di parlare e di mediare con le istituzioni che si contestano, legittimando degli interlocutori che sono invece ritenuti “il problema” in primo luogo. Questo il pensiero di David Graeber, antropologo americano della Goldsmith University di Londra, e tra i primi organizzatori della protesta in atto da tre settimane nel cuore finanziario statunitense. In un’intervista rilasciata al Washington Post, Graeber ha raccontato la nascita del movimento e cercato di spiegare il vero senso dell’occupazione.
“Tutto è cominciato il 2 luglio”, quando c’è stata la prima riunione, ha ricordato Graeber. Da allora, sono stati creati piccoli gruppi di lavoro, con l’aiuto di ragazzi che avevano organizzato manifestazioni simili in Spagna, Grecia e Tunisia. L’obiettivo è sempre stato quello di manenere la struttura organizzativa aperta, “creando spazi dove le persone possono incontrarsi e confrontarsi”.
Secondo le parole di uno dei suoi fondatori, il movimento sta cercando “di riformulare le cose in una maniera diversa”, mantenendosi lontano dalla retorica delle rivendicazioni e abbracciando il modello della democrazia diretta. “A questo punto”, ha spiegato Graeber, “l’occupazione di New York ha 30 differenti gruppi di lavoro, che gestiscono qualsiasi cosa, dalla pulizia alle discussioni sui diritti dei lavoratori e sulle tasse. Siamo cercando di organizzare le cose di modo che anche gente con interessi diversi possa unirsi al movimento”.
Date queste premesse, però, l’adesione di nuovi gruppi più strutturati, come sindacati e altre sigle di attivisti, portebbe non essere un risvolto completamente positivo per il movimento: “La vera difficoltà è lavorare con gruppi che hanno una struttura verticale e hanno una base di finanziamento, perché significa che ci sono cose che possono dire in pubblico e cose che non possono dire”. E’ necessario, quindi, “trovare un equilibrio tra la forma di democrazia diretta che si sta cercando di raggiungere e lo sforzo per unirsi a quei gruppi che hanno una struttura organizzativa di tipo gerarchico che noi abbiamo rifiutato”.
In effetti, come tutto questo si possa tradurre in un reale cambiamento nella società, rimane una sfida anche per Graeber, secondo cui “uno dei modi in cui questo è stato fatto da altre parti del mondo è attraverso assemblee locali che portano avanti iniziative locali”. Il professore americano, d’altro canto, sembra sicurissimo su una cosa: “l’unica risorsa che non scarseggia è rappresentata dalle persone intelligenti che hanno idee”.