asperimenti

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La forza dell’immaginazione e dell’imitazione: isole e derive culturali

di Fabrizio Eva

www.fabrizio-eva.info

L’immaginazione degli esseri umani è fervida e molto spesso si diventa ostaggio di essa.

Jim Giles in un articolo su New Scientist (tradotto da Internazionale del 23/29 luglio 2010, pp. 51-52), cita l’economista David Hirshleifer che nel 1993 ha scritto “più sentiamo o leggiamo una notizia e più la consideriamo vera”. Il meccanismo mentale per cui si crede che quello che è pensato o ripetuto continuamente sia vero può essere analizzato e compreso a partire dal concetto di meme, “egoista” come il gene, elaborato da Richard Dawkins (1995). Il meme-idea è “l’unità di trasmissione culturale o unità di imitazione” (ibid, p. 254), “una entità, il meme-idea, che è capace di essere trasmessa da un cervello all’altro” (ibid, p. 258) “l’imitazione, in senso lato, è il modo in cui i memi possono replicarsi” (ibid, p. 256).

In pratica un meme-idea è qualsiasi cosa che ci entra nella mente (e nella memoria), spesso senza che ce ne rendiamo conto, e che progressivamente si accumula per formare l’insieme delle nostre opinioni, convinzioni, valori, identità, percezioni, ecc. ecc.. Anche i nostri studi e le cose che impariamo (per nostra volontà o inconsapevolmente) si comportano come dei memi, e cioè tendono non solo a consolidarsi nella nostra mente, ma anche a replicarsi in altre menti grazie alla trasmissione (cosciente o no) che ne facciamo noi stessi con parole e azioni.

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Sulla comunità – Spunti dalla ex-Cuem

T : Ma quindi, noi siamo una comunita´?

S : Secondo me si..e´ difficile esserlo, ma le cose che ti fanno capire di esserlo sono molto semplici.

N : Lo siamo, nella misura in cui manteniamo un´apertura sul nostro orizzonte, fino a quando non ci diamo una forma determinata. Per questo che le cose, qui dentro, sono cresciute con una spontaneitá che proveniva dal singolo: la volontá, l´amore di ognuno, che, trasformati nel momento in cui sono messi in comune, contaminavano e accrescevano la voglia e l´amore di tutti coloro che IN QUEL MOMENTO condividevano la forma-comunitá.

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Venerdì 11 maggio bandiera nera sull’Ucraina

venerdì 11 maggio h21 @Circolo dei Malfattori

Nestor Machno, bandiera nera sull’Ucraina con Mikhail Tsovma, storico russo

A poco meno di un secolo dagli eventi, è ora possibile ricostruire nella sua complessità la storia della Rivoluzione russa, al di là dei miti e dei racconti dei vincitori. Un’attenzione particolare, anche per le dimensioni del fenomeno, è stata data all’anarchico ucraino Nestor Machno e al movimento contadino, denominato machnovscina, che tra il 1917 e il 1921 coinvolse una vasta regione dell’Ucraina. Fu proprio questa grandiosa jacquerie libertaria la vera protagonista della rivoluzione in quella parte dell’ex impero russo. Per i suoi esperimenti di autogestione e democrazia diretta e per quella guerriglia partigiana che combatté vittoriosamente.

Ecco un contributo alla presentazione del libro Nestro Machno: bandiera nera sull’Ucraina

Fatti i libri tuoi!

Riproponiamo un’interessante intervista su autoproduzioni librarie e dintorni comparsa su A rivista anarchica.

GR: Mi piace sempre iniziare le interviste con qualcosa di surreale, e nel tuo caso ancora di più visto che andremo a parlare di creatività e arte. Siamo nel 2100, due esperti di restauro  durante lavori di ripristino della “ biblioteca Torricelliana ” sita nella Libera Comune dei Due Navigli scoprono un affresco nascosto dietro un grande armadio carico di scartoffie.. risalgono all’autore, un certo Federico Zenoni, che agli albori del nuovo millennio aveva affrescato questa parete con la sua, e dei compagni che all’epoca animavano il circolo dei Malfattori,  idea di Anarchia..cosa vorresti che sapessero i posteri di te?
FZ: Quello che vorrei che emergesse è questo: che cento anni prima ci furono persone che immaginavano un altro tipo di società; l’autore è solo un medium, un tramite tra l’idea ed il fruitore dell’immagine, almeno nell’arte figurativa, un po’ come per i geroglifici, una scrittura simbolica per fissare e poi veicolare dei concetti.
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2 Di-battito a cuore aperto

Credendo di fare cosa gradita, continuiamo nella pubblicazione del dibattito uscito su A-rivista anarchica.

Se qualcuno volesse proporre la sua riflessione o commento, può scriverci a esperimenti@paranoici.org; provvederemo presto a rispondere e diffondere.

Inizio subito esprimendo un’accordo di base con le idee e i concetti
espressi nell’articolo di Andrea Staid sullo scorso numero. Ovviamente
il fatto di essere d’accordo non mi impedisce di provare
a sottolineare alcuni punti critici, nel tentativo di tracciare i confini
del nostro ragionamento e, perchè no, di superarli. Andiamo con ordine…

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Al di qua delle rappresentazioni

CONSIDERAZIONI SUL MOVIMENTO NOTAV

a cura del Collettivo Cinematografico Inesistente

Da due mesi a questa parte si sta in fine attuando quello che una lunga narrazione fatta di parole e di silenzi, di fatti seguiti a discorsi, aveva preparato. Questa narrazione è cominciata in maniera significativa con lo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena e di essa sono stati protagonisti le parole dei giornali ufficiali e dei politici, e i silenzi di qualunque figura di intellettuale. Discorsi si sono sovrapposti a fatti, dichiarazioni e articoli hanno riempito di scientifiche verità i momenti di lotta del Movimento No Tav, analizzando anatomicamente le sue componenti, ripercorrendone la storia e individuandone le radici politiche, classificando le sue tendenze e i suoi umori, separando meticolosamente le sue ragioni dalle sue colpe. Si è andata costruendo un’immagine paragonabile a quella di un corpo: la realtà No Tav come un oggetto di discorso su cui innestare dei campi d’indagine. Un corpo, com’è ovvio, interagisce con l’esterno: studiandone l’anima e i comportamenti si possono individuare gli effetti che produrrà su di esso.

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Sharing films, sharing minds

Pubblichiamo nella pagina Indizioni&iniziative l’opuscolo prodotto dal Collettivo Cinematografico Inesistente, presentato il 25 marzo durante l’iniziativa di film-sharing presso il Circolo dei Malfattori.

Note e materiali, appunti contro (la) cultura, testi e riflessioni volti ad un possibile superamento dell’arte…

 


 

 

 

Occupy Wall Street!

Il fatto che il movimento Occupy Wall Street non sembri avere obiettivi precisi e che non presenti una leadership chiara non è un caso. Anzi, è una scelta consapevole e ragionata. Mantenere la vaghezza e la struttura decentrata del movimento è proprio “uno dei modi per opporsi a queste forze antidemocratiche e molto potenti contro le quali si sta protestando”. In pratica, se si avanzassero richieste specifiche, significherebbe aver accettato di parlare e di mediare con le istituzioni che si contestano, legittimando degli interlocutori che sono invece ritenuti “il problema” in primo luogo. Questo il pensiero di David Graeber, antropologo americano della Goldsmith University di Londra, e tra i primi organizzatori della protesta in atto da tre settimane nel cuore finanziario statunitense. In un’intervista rilasciata al Washington Post, Graeber ha raccontato la nascita del movimento e cercato di spiegare il vero senso dell’occupazione.

“Tutto è cominciato il 2 luglio”, quando c’è stata la prima riunione, ha ricordato Graeber. Da allora, sono stati creati piccoli gruppi di lavoro, con l’aiuto di ragazzi che avevano organizzato manifestazioni simili in Spagna, Grecia e Tunisia. L’obiettivo è sempre stato quello di manenere la struttura organizzativa aperta, “creando spazi dove le persone possono incontrarsi e confrontarsi”.

Secondo le parole di uno dei suoi fondatori, il movimento sta cercando “di riformulare le cose in una maniera diversa”, mantenendosi lontano dalla retorica delle rivendicazioni e abbracciando il modello della democrazia diretta. “A questo punto”, ha spiegato Graeber, “l’occupazione di New York ha 30 differenti gruppi di lavoro, che gestiscono qualsiasi cosa, dalla pulizia alle discussioni sui diritti dei lavoratori e sulle tasse. Siamo cercando di organizzare le cose di modo che anche gente con interessi diversi possa unirsi al movimento”.

Date queste premesse, però, l’adesione di nuovi gruppi più strutturati, come sindacati e altre sigle di attivisti, portebbe non essere un risvolto completamente positivo per il movimento: “La vera difficoltà è lavorare con gruppi che hanno una struttura verticale e hanno una base di finanziamento, perché significa che ci sono cose che possono dire in pubblico e cose che non possono dire”. E’ necessario, quindi, “trovare un equilibrio tra la forma di democrazia diretta che si sta cercando di raggiungere e lo sforzo per unirsi a quei gruppi che hanno una struttura organizzativa di tipo gerarchico che noi abbiamo rifiutato”.

In effetti, come tutto questo si possa tradurre in un reale cambiamento nella società, rimane una sfida anche per Graeber, secondo cui “uno dei modi in cui questo è stato fatto da altre parti del mondo è attraverso assemblee locali che portano avanti iniziative locali”. Il professore americano, d’altro canto, sembra sicurissimo su una cosa: “l’unica risorsa che non scarseggia è rappresentata dalle persone intelligenti che hanno idee”.

Ci presentiamo

Lo spirito che ci ha portati a intraprendere un percorso di riflessione
e sperimentazione collettiva è nato dalll’esigenza comune
di risolvere una frattura fra quella che è la teoria anarchica e libertaria
così come l’abbiamo ereditata e i tentativi pratici di risolvere
e superare le contraddizioni e i conflitti che si presentano
nella società di oggi.
L’obbiettivo che ci siamo preposti è quello di attivare un percorso
che ci permetta di essere più coerenti nell’intreccio tra rivendicazioni
politiche e sociali che avanziamo e le pratiche che
mettiamo in campo per concretizzarle. Le parole d’ordine che ci
hanno accompagnato durante il nostro viaggio sono state
“sperimentazione” e “qualità”.
Il primo nodo di riflessione che abbiamo indivuiduato è stato
quello del potere. Centrali sono per noi i rapporti che i soggetti
all’interno di un corpo sociale intrattengono tra di loro e con le
cose. Sono tali rapporti e la loro sedimentazione che contribuiscono
alla costituzione dei soggetti e delle strutture sociali e determinano
il senso che gli individui e la società assegnano alla
realtà. Prima di analizzare situazioni specifiche e individuare soluzioni
contingenti abbiamo deciso quindi di sviscerare questa
tematica trasversale.
Attraverso un confronto partecipato, in cui ognuno di noi ha
contribuito con i propri interessi e la propria specificità, abbiamo
cercato di creare un impalcatura semantica che distinguesse
il termine potere da quello di dominio e autorità. I temi trattati
hanno rispecchiato la ricchezza del gruppo e hanno spaziato dall’antropologia
alla filosofia politica, dall’economia all’urbanistica
fino ad arrivare alla teconologia, ma in tutti i casi gli elementi
comuni sono stati il potere e il dominio. Il confronto teorico è
stato accompagnato da alcune iniziative pratiche, una serata di
autocostruzione libraria a tema potere, dominio, autorità e da un
seminario sullo stesso tema.