L’immaginazione degli esseri umani è fervida e molto spesso si diventa ostaggio di essa.
Jim Giles in un articolo su New Scientist (tradotto da Internazionale del 23/29 luglio 2010, pp. 51-52), cita l’economista David Hirshleifer che nel 1993 ha scritto “più sentiamo o leggiamo una notizia e più la consideriamo vera”. Il meccanismo mentale per cui si crede che quello che è pensato o ripetuto continuamente sia vero può essere analizzato e compreso a partire dal concetto di meme, “egoista” come il gene, elaborato da Richard Dawkins (1995). Il meme-idea è “l’unità di trasmissione culturale o unità di imitazione” (ibid, p. 254), “una entità, il meme-idea, che è capace di essere trasmessa da un cervello all’altro” (ibid, p. 258) “l’imitazione, in senso lato, è il modo in cui i memi possono replicarsi” (ibid, p. 256).
In pratica un meme-idea è qualsiasi cosa che ci entra nella mente (e nella memoria), spesso senza che ce ne rendiamo conto, e che progressivamente si accumula per formare l’insieme delle nostre opinioni, convinzioni, valori, identità, percezioni, ecc. ecc.. Anche i nostri studi e le cose che impariamo (per nostra volontà o inconsapevolmente) si comportano come dei memi, e cioè tendono non solo a consolidarsi nella nostra mente, ma anche a replicarsi in altre menti grazie alla trasmissione (cosciente o no) che ne facciamo noi stessi con parole e azioni.
Nell’era del benessere, dove le armi seduttive del dominio hanno raggiunto un livello tale di sofisticazione da far scambiare il godimento delle merci per la libertà; nella società della paura, dove l’irraggiamento della realtà massmediatica si sostituisce sempre più al confronto umano; nell’intimo della propria dimensione quotidiana, dove la frantumazione sociale ci fa stringere sempre più all’interno di una ristrettissima cerchia di privati e dove si è sempre più soli nell’affrontare un dominio che si getta fin nel profondo del nostro essere; qui – un qui che è ovunque –, la rabbia dell’oppresso, la frustrazione del bisogno, il vuoto di senso prodotto dalla mercificazione dell’esistente, si coagulano sempre più sotto forma di disagio di vivere: un disagio del quotidiano difficilmente percepibile come direttamente legato ad un processo passibile di critica, ad una più universale sfera ‘politica’ di decisioni e idee.
Una deflagrazione annunciata…
Credendo di fare cosa gradita, continuiamo nella pubblicazione del dibattito uscito su A-rivista anarchica.
Se qualcuno volesse proporre la sua riflessione o commento, può scriverci a esperimenti@paranoici.org; provvederemo presto a rispondere e diffondere.
Inizio subito esprimendo un’accordo di base con le idee e i concetti espressi nell’articolo di Andrea Staid sullo scorso numero. Ovviamente il fatto di essere d’accordo non mi impedisce di provare a sottolineare alcuni punti critici, nel tentativo di tracciare i confini del nostro ragionamento e, perchè no, di superarli. Andiamo con ordine…
sabato 28 aprile dalle 15 @Circolo dei Malfattori (a seguire aperitivo)
con Amalia Rossi, etnografia e antropologia dei movimenti sociali.
L’analisi di nuovi e vecchi movimenti sociali è stata a lungo
determinata da studi sociologici o politici che spesso non hanno
saputo cogliere aspetti come la specificità e la complessità delle
dinamiche interne ai movimenti e le controverse relazioni di potere
che stanno alla base di diverse forme di mobilitazione.
“Il Castello” un film di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti
Un anno dentro l’aeroporto di Malpensa, un anno ad osservare la vita all’interno di un aeroporto intercontinentale da cui ne nasce un documentario, diviso in quattro capitoli, che segue il ritmo naturale delle quattro stagioni: inverno (arrivi), primavera (sicurezza), estate (attesa), autunno (partenze).
Da due mesi a questa parte si sta in fine attuando quello che una lunga narrazione fatta di parole e di silenzi, di fatti seguiti a discorsi, aveva preparato. Questa narrazione è cominciata in maniera significativa con lo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena e di essa sono stati protagonisti le parole dei giornali ufficiali e dei politici, e i silenzi di qualunque figura di intellettuale. Discorsi si sono sovrapposti a fatti, dichiarazioni e articoli hanno riempito di scientifiche verità i momenti di lotta del Movimento No Tav, analizzando anatomicamente le sue componenti, ripercorrendone la storia e individuandone le radici politiche, classificando le sue tendenze e i suoi umori, separando meticolosamente le sue ragioni dalle sue colpe. Si è andata costruendo un’immagine paragonabile a quella di un corpo: la realtà No Tav come un oggetto di discorso su cui innestare dei campi d’indagine. Un corpo, com’è ovvio, interagisce con l’esterno: studiandone l’anima e i comportamenti si possono individuare gli effetti che produrrà su di esso.
Riproponiamo nella sezione Cassetta degli attrezzi un dibattito iniziato su “A-rivista anarchica” che ci sta molto a cuore.
La società contemporanea apre scenari nuovi che pongono una serie di sfide.
Nel mondo globalizzato le forme sociali non riescono più a conservare a lungo la loro forma, si scompongono e si sciolgono più in fretta del tempo necessario a fargliene assumere una; ci troviamo di fronte a quella che Bauman chiama vita liquida.
Questo piccolo contributo vuole riflettere sulle possibilità di un anarchismo meticcio nella società moderna.
Apr 2, 2012Commenti disabilitati su Uguali perché diversi